I SUONI DELLA NATIVITA' 
                    Sergio Bonanzinga 
                     
                     Le 
                      tradizioni musicali connesse alla celebrazione del Natale 
                      si sono mantenute in Sicilia particolarmente vitali. Con 
                      canti, musiche strumentali e azioni drammatiche si torna 
                      ogni anno a celebrare la Natività: dal 29 novembre, quando 
                      inizia la novena della Immacolata, al 6 gennaio, ricorrenza 
                      dell'Epifania. 
                    Nelle 
                      case, davanti agli altari o ai presepi, nelle strade, presso 
                      edicole votive riccamente addobbate, e nelle chiese di molti 
                      paesi ancora si ripetono gli antichi canti, eseguiti dietro 
                      compenso da suonatori specializzati o in coro dai fedeli. 
                      E' inoltre ancora possibile osservare certe rappresentazioni 
                      drammatico-musicali della Natività, talvolta pienamente 
                      inserite nei medesimi circuiti di scambio (prestazione/offerta) 
                      che caratterizzano l'esecuzione "professionale" delle novene. 
                    Tratto 
                      connotativo di queste forme espressive è il doppio registro 
                      stilistico determinato dal mescolarsi di apporti folklorici 
                      con ascendeze culte, dovute soprattutto a interventi operati 
                      dalla Chiesa. Tra il IV e il IX secolo, parallelamente al 
                      progressivo affermarsi di drammi sacri sul tema della Passione, 
                      sorsero infatti anche le rappresentazioni drammatiche incentrate 
                      sulla Natività. Queste, fondate sulla sequenza narrativa 
                      Annunciazione-Natività-Fuga in Egitto, vennero a costituire 
                      una forma particolare di dramma sacro, originariamente denominato 
                      officium pastorum. I canovacci destinati all'esecuzione 
                      pubblica erano prodotti in ambiente chiesastico e presentavano 
                      quindi testi rigidamente controllati. 
                     Non 
                      diversamente accadeva per i canti. A tale riguardo basti 
                      ricordare l'emblematica vicenda degli orbi (ciechi), suonatori 
                      e cantori ambulanti siciliani. Gli orbi vennero infatti 
                      riuniti in congregazione a Palermo dai Gesuiti fin dal 1661, 
                      con il preciso obiettivo di diffondere presso il popolo 
                      un'ampia produzione di testi poetici dialettali di argomento 
                      religioso: storie di santi, canti di Natività e di Passione, 
                      rosari, ecc. La Chiesa fissava così, attraverso la scrittura, 
                      temi e motivi destinati alla più ampia ricezione popolare 
                      grazie alla mediazione "orale" degli orbi. L'ampio impiego 
                      di testi in latino e, più recentemente, in italiano - dalle 
                      Litaniae lauretanae a inni come Tu scendi dalle stelle, 
                      Evviva Maria, ecc. - conferma la natura "mista" del repertorio 
                      natalizio. 
                    Caratteristica 
                      che emerge anche nella tipologia formale di molti moduli 
                      melodici associati ai canti e alle musiche strumentali del 
                      Natale, fondati su formule armoniche tonali e strutture 
                      ritmiche rigide (con predominio del 6/8) assai distanti 
                      dalle libere inflessioni del canto siciliano più arcaico 
                      (a esempio i canti dei contadini e dei carrettieri). 
                    Così 
                      come il più recente repertorio strumentale ha accolto innumerevoli 
                      brani d'autore di circolazione sia nazionale che internazionale 
                      (dalla Bersagliera a Jingle bells). 
                     I 
                      testi drammatici, poetici e musicali di provenienza soprattutto 
                      ecclesiastica si andarono tuttavia adattando all'ambiente 
                      in cui si diffondevano. Gli interpreti popolani tendevano 
                      a trasformare gli officia pastorum (o misteri) in rappresentazioni 
                      che lasciavano ampio spazio all'improvvisazione (anche con 
                      l'inserimento di danze, mimiche e dialoghi comici o addirittura 
                      osceni) e all'abbondante consumo di cibo e bevande (perfino 
                      all'interno delle chiese, nonostante le reiterate proibizioni 
                      sinodali). Le novene domiciliari assumevano l'andamento 
                      di una vera festa, con offerte alimentari, accensione di 
                      fuochi e balli estemporanei. 
                    Nonostante 
                      secoli di attività normalizzatrice operata dalla Chiesa, 
                      ancora oggi in Sicilia sono osservabili questi comportamenti, 
                      significativa permanenza di più arcaici rituali destinati 
                      a celebrare il solstizio d'inverno: un passaggio stagionale 
                      ritenuto "straordinario" già in epoca preistorica e di cui 
                      il Natale costituisce, com'è noto, la riconfigurazione simbolica 
                      nei termini dell'ideologia cristiano-cattolica. 
                     L'itinerario 
                      può prendere avvio da Monreale, importante centro a pochi 
                      chilometri da Palermo, dove diverse coppie di zampognari-cantori 
                      ancora si esibiscono dietro compenso dall'Immacolata all'Epifania. 
                      Particolare è però lo strumento impiegato da questi suonatori, 
                      unici in Sicilia a utilizzare la grande zampogna "a chiave" 
                      più comunemente diffusa nell'Italia centro-meridionale. 
                      Il medesimo strumento era adoperato dagli zampognari palermitani, 
                      la cui ultima generazione si è estinta all'inizio degli 
                      anni Sessanta. Questi sono stati però in parte sostituiti 
                      dai ciaramiddari di Monreale, che tuttora usano recarsi 
                      a suonare presso numerose famiglie e botteghe nei rioni 
                      popolari di Palermo (Brancaccio, Cuba-Calatafimi, Mezzomonreale, 
                      Guadagna, Uditore, Villa Ciambra, Boccadifalco). Dal 29 
                      novembre al 7 dicembre si svolge la novena dell'Immacolata 
                      (nuvena dà Madonna), seguita dalla novena di Natale (nuvena 
                      i Natali) che va dal 16 al 24 dicembre. Il ciclo si chiude 
                      con l'ottava dell'Epifania (detta semplicemente ottava) 
                      che si celebra dal 29 dicembre al 5 gennaio. Il triduo (triinu) 
                      consiste in una prestazione musicale limitata ai tre giorni 
                      conclusivi dell'ottava (3-5 gennaio), e viene richiesto 
                      dalle famiglie meno abbienti o da quanti, se pure in ritardo, 
                      non vogliono rinunciare al "suono" della zampogna. 
                      Novene, 
                      ottave e tridui si celebrano di mattina (a partire dalle 
                      sette) e di sera (dall'imbrunire). Le esibizioni avvengono 
                      all'interno delle abitazioni dei committenti (davanti al 
                      presepe o a immagini sacre) oppure all'esterno se vi si 
                      trova collocata un'edicola votiva (cappilluzza, cupulìcchia), 
                      ancora talvolta decorata secondo consuetudine con fronde 
                      d'agrumi cariche di frutti. I tre brani (tri caddozzi) in 
                      cui normalmente si articola ogni esibizione variano in funzione 
                      delle occasioni e delle richieste dei committenti (parrucciani). 
                      Il repertorio comprende canti di argomento devozionale analoghi 
                      a quelli ampiamente attestati in Sicilia nei secoli scorsi. 
                      Alcuni sono canti narrativi legati ai temi della Natività 
                      e della Passione: U caminu i san Giseppi (il viaggio a Betlemme); 
                      A la notti di Natali (la nascita); Ninu ninu lu picuraru 
                      (l'adorazione del Bambino); I tri Re (l'arrivo dei Magi); 
                      Quannu la santa Matri caminava (la ricerca del Cristo Morto 
                      da parte della Madonna). Altri raccontano "storie" di santi 
                      (Santa Rusulìa, Sant'Antuninu la missa nicìa, U miraculu 
                      i sant'Antuninu) e la parabola del Figliol prodigo (U figghiu 
                      prònicu). 
                    Vi 
                      sono poi tre canzuni "lirico-narrative" (Quannu la santa 
                      Matri nutricava, San Gisippuzzu i fora vinìa, Sant'Antuninu 
                      quann'era malatu), una "canzonetta" (Dinghi dinghi la campanedda) 
                      e due versioni della Salve Regina (Sarvi Riggina dà Mmaculata, 
                      Sarvi Riggina di Natali). 
                     Come 
                      normalmente accade nella musica di tradizione orale, un 
                      ridotto numero di melodie (quattro) viene adattato a testi 
                      diversi. Riguardo alle modalità perfermotive si rileva in 
                      particolare la contrapposizione tra l'andamento libero dei 
                      preludi (varianti più o meno estese della medesima struttura 
                      melodica) e il tendenziale assestamento metrico delle parti 
                      cantate (caratterizzate dalla propensione a ricercare la 
                      massima "consonanza" tra l'emissione vocale e il timbro 
                      dello strumento). Il materiale melodico delle canzuni viene 
                      anche proposto in forma strumentale, nell'ambito di estemporanei 
                      componimenti in cui si usa fondere più melodie. 
                    Specificamente 
                      strumentali sono invece la Pasturali e la Litania (quest'ultima 
                      veniva però cantata un tempo sul testo latino delle Litaniae 
                      lauretanae). Vengono inoltre eseguiti adattamenti strumentali 
                      di celebri canzoni religiose (Tu scendi dalle stelle, Mira 
                      il tuo popolo, La Madonna di Fatima), di marce (Bersagliera) 
                      e di canzonette (Calabrisella, Lazzarella, Turidduzzu), 
                      oltrechè alcuni ritmi di danza (valzer, tarantella), nonostante 
                      questo tipo di zampogna non abbia mai avuto funzione di 
                      accompagnamento al ballo. 
                    La 
                      struttura della Pasturali, fondata su progressive variazioni 
                      di una frase esposta in apertura rivela con evidenza il 
                      nesso tra la tradizione della zampogna a chiave siciliana 
                      e la musica strumentale di ambiente colto dei secoli XVII 
                      e XVIII (con speciale riferimento ai repertori organistici). 
                    La 
                      Litania non presenta lo stesso tipo di elaborazione compositiva 
                      della Pasturali, essendo chiaramente fondata su moduli vocali 
                      di più semplice struttura (alternanza di tre moduli ritmico-melodici 
                      variamente iterati). Anche in questo caso appaiono tuttavia 
                      evidenti i referenti "extra-popolari" del brano che presenta 
                      i tipici tratti stilistici e formali della produzione musicale 
                      di origine chiesastica. 
                     Tra 
                      i canti del repertorio monrealese quello che rispecchia 
                      la forma canonica della "novena" (nuvena, nnuena) - ovvero 
                      di un esteso componimento narrativo suddiviso in nove parti 
                      da cantarsi giornalmente nel corso di tutto il ciclo devozionale 
                      - è U caminu i san Giseppi. I suonatori, tuttavia, non rispettano 
                      più la tradizionale modalità esecutiva, e ne cantano frammenti 
                      a loro piacimento o in base alle richieste dei committenti. 
                      Si tratta di un lungo testo in quartine di ottonari che 
                      narra le peripezie della Sacra Famiglia, dalla diffusione 
                      del bando imperiale relativo al censimento fino al momento 
                      della Natività. 
                    Un 
                      modulo narrativo diffuso in tutta Europa e che in Sicilia 
                      ha avuto un interprete celebre nel canonico monrealese Antonio 
                      Diliberto, noto sotto lo pseudonimo di Benedetto Annuleru. 
                      Questi fu autore, intorno alla metà del Settecento, di un 
                      componimento intitolato Viàggiu dulurusu di Maria Santissima 
                      e lu patriarca San Giuseppi in Betlemmi, il cui successo 
                      fu tale da suscitare una vera proliferazione di testi molto 
                      simili: parafrasi, rimontaggi di parti o strofe con eventuale 
                      interpolazione di nuovi versi, ecc. (ancora oggi, peraltro, 
                      il Viàggiu dulurusu si esegue in tanti centri nelle più 
                      svariate combinazioni vocali e strumentali). Del Caminu 
                      i san Giseppi riportiamo le strofe corrispondenti alla prima 
                      giornata della novena:  
                    Nta la centru di lu nvernu 
                       
                      manna Cèsani la bannu  
                      e li pòviri signuri tutt'a scrìviri si vannu.  
                      San Giseppi'n tanta affannu:  
                      "Comu fazzu cu Maria,  
                      si cci dicu di stu bbannu  
                      voli vìniri cu mmia".  
                      Arnuvat'unni Maria  
                      cci la misi a rracuntari  
                      quali bbanu ddulurusu  
                      avìa ntisu publlicari.  
                      "Lu tributu am'a ppagari  
                      senza nudda negativa,  
                      a la patria am'a ttuinnari  
                      a la patria nativa  
                      A l'affritta di Maria  
                      san Giseppi ralligratu,  
                      cci ddicìa: "Signura mia,  
                      vui mm'aviti cunsulatu". 
                    La 
                      documentazione relativa alle tradizioni musicali degli orbi-cantastorie, 
                      la cui tradizione si è protratta a Palermo fino agli anni 
                      Ottanta, e di questi ciaramiddani-cantori conferma la parziale 
                      sovrapposizione tra le due professioni. 
                    Entrambe 
                      tipicamente urbane, hanno condiviso un repertorio poetico-musicale 
                      in gran parte analogo. Era tuttavia esteso a comprendere 
                      l'intero ciclo annuale il mestiere "devozionale" degli orbi, 
                      mentre appare rigidamente circoscritto al periodo natalizio 
                      quello dei ciaramiddari. Tra questi ultimi non è un caso 
                      che gli specialisti della zampogna "a chiave" non fossero 
                      pastori, come è nella tradizione dei suonatori di zampogna 
                      "a paio", bensì contadini e artigiani. 
                     Questi 
                      zampognari-cantori del circondario palermitano, più sensibili 
                      a contesti semiculti e chiesastici, si sono posti, non diversamente 
                      dai cantastorie ciechi, come gli attori e i mediatori di 
                      un immaginario sacro ancora oggi in parte funzionale. 
                    Tra 
                      le più singolari rappresentazioni musicali della Natività 
                      vi sono quelle rilevate in due piccoli centri interni rispettivamente 
                      situati sulle Madonie e sui Peloritani: Isnello e Antillo. 
                      La novena di Natale si usava annunciare ad Antillo (prov. 
                      di Messina) con la Pasturedda, un particolare ritmo a due 
                      campane che intendeva evocare il suono dei mulignedda (campanelli) 
                      appesi al collo degli animali recati dai pastori in dono 
                      al Bambino (quindi una "Adorazione dei pastori"). La Pasturedda 
                      si eseguiva insieme alla Campaniata (scampanata festiva 
                      pure eseguita con due campane) nei giorni della novena e 
                      nelle "vigilie" (15, 24 e 31 dicembre, 5 gennaio). Numerosi 
                      erano i fedeli che si avvicendavano - spesso per voto - 
                      a suonare la Pasturedda (specialmente in occasione delle 
                      vigilie). Oggi la novena non si svolge più secondo queste 
                      consuetudini, si è però mantenuto l'uso di eseguire la Pasturedda 
                      il 24 e 31 dicembre e il 5 gennaio. 
                    Attualmente 
                      è soprattutto il parroco a mantenere viva la tradizione, 
                      anche attraverso il coinvolgimento di alcuni giovani del 
                      paese. Le campane vengono azionate mediante corde pendenti 
                      dai battagli stando in piedi vicino ai vasi. Una tecnica 
                      più elaborata caratterizza invece l'esecuzione della Naca 
                      o Bamminu nella notte di Natale a Isnello (prov. di Palermo). 
                      Qui sono cinque le campane che vengono manovrate da due 
                      suonatori mediante canapi (il campanaro più esperto, di 
                      norma il sacrestano, suona tre campane contemporaneamente). 
                      La sonata dura circa dieci minuti e si fonda su un preciso 
                      modulo nitmico più volte iterato. Il suono delle campane 
                      rappresenterebbe - similmente a quanto rilevato ad Antillo 
                      - lo scampanio degli armenti che con i pastori giunsero 
                      a cullare il sonno del Redentore. 
                    La 
                      Naca si effettuava un tempo anche per le vigilie dell'immacolata 
                      e dell'Epifania, a sottolineare l'unitarietà con cui è vissuto 
                      a livello popolare l'intero ciclo festivo. 
                     Straordinariamente 
                      vitale è la tradizione musicale del Natale a Licata, popoloso 
                      centro costiero dell'Agrigentino. Sono soprattutto gli zampognari 
                      ad animare le celebrazioni, partecipando alle processioni 
                      dell'Immacolata (8 dicembre) e di santa Lucia (13 dicembre) 
                      ed eseguendo le novene domiciliari. Centinaia di famiglie 
                      usano ancora addobbare le edicole (fiureddi) presso gli 
                      usci di casa, con fronde di vegetali (palme, pino, carrubbo) 
                      e agrumi (arance e mandarini), per potere ospitare i suonatori 
                      nei nove giorni che precedono il Natale. I pochi zampognari 
                      ancora in attività addirittura non riescono a soddisfare 
                      le tante richieste, e pertanto a essi si sono aggiunte due 
                      orchestnine composte da suonatori di banda che in parte 
                      ricalcano il repertorio tradizionale. La zampogna che si 
                      utilizza a Licata è del tipo "a paio" (ciaramedda a paru). 
                      Diversamente dalla zampogna "a chiave" monrealese, questo 
                      strumento - tuttora ampiamente diffuso in Sicilia - è impiegato 
                      per ritmare i balli oltre che per accompagnare canti sacri 
                      ed eseguire sonate solistiche. Il sostegno ritmico è sempre 
                      dato dal cìmmulu (cerchietto, munito di piattini e sonagli), 
                      suonato dal cantore che fa coppia con lo zampognaro (altri 
                      cantori, due o tre, si associano di norma a formare il coro). 
                      Con lo scuotimento del cìmmulu i suonatori segnalano il 
                      loro arrivo presso l'abitazione dei clienti. Appena questi 
                      - soprattutto donne e bambini - si riuniscono all'esterno, 
                      si dà inizio alla novena con un canto in italiano (Tu scendi 
                      dalle stelle, O Maria quanto sei bella) o in siciliano (varie 
                      canzuni lirico-narrative sul tema della Natività). Vi sono 
                      anche canti in cui si mescolano strofe dialettali ad altre 
                      in lingua, secondo una prassi che ribadisce le interferenze 
                      stilistiche caratterizzanti le rappresentazioni musicali 
                      della Natività. 
                    Di 
                      notevole interesse è la gestualità del cantore solista, 
                      a braccia aperte in postura di omaggio all'immagine sacra 
                      verso cui sta costantemente rivolto. I moduli musicali possono 
                      essere sommariamente distinti in due tipi: uno di andamento 
                      più regolare, rispondente alle consuete stilizzazioni di 
                      origine semiculta; un altro più libero, tendente a inflessioni 
                      modali. Non è un caso che nei canti eseguiti secondo quest'ultimo 
                      modulo sia piuttosto arduo per chi non conosca già i testi 
                      comprenderne le parole, a causa della dilatazione delle 
                      durate e per la propensione a fondere la voce con il timbro 
                      della zampogna. A tale modulo melodico sono associati esclusivamente 
                      testi siciliani in endecasillabi che racchiudono nuclei 
                      semantici autonomi articolati in strofe brevi (dal distico 
                      alla sestina). La zampogna assume un ruolo di sostegno armonico, 
                      attraverso formule che alternano suoni tenuti a virtuosistici 
                      abbellimenti. Ogni canto si conclude con una cadenza corale 
                      sulla tonica della melodia, seguita da un postludio strumentale 
                      in tempo vivace e regolare (tendente al 6/8) scandito dal 
                      cìmmulu. Questa struttura poetico-musicale offre ampie opportunità 
                      di giustapposizione modulare, poichè permette di collegare 
                      tra loro testi diversi (ma di contenuto unitario) mediante 
                      parti strumentali di raccordo (il postludio funge da preludio 
                      al canto successivo e così via). Temi ricorrenti sono l'adorazione 
                      dei pastori e la ninna nanna al Bambino: 
                    O Bbammineddu (e) quantu 
                      siti bbeddu,  
                      viniti a la me casa si vi piace,  
                      ah ... ah!  
                      Oh ... oh!  
                      Ora ca li pasturi sunnu già arrivati,  
                      i longa via sunnu vinuti, 
                      ah ... ah!  
                      Oh ... oh!  
                       
                      U Bammineddu nta la naca ciancìa  
                      e l'ancilu Gabrieli lu nacava.  
                      Tri palureddi santi ci diciva:  
                      "Dormi figliu, s'amatu di Maria".  
                      E li pasturi già l'amm'adunari,  
                      oh ... oh!  
                      Oh! ... oh! 
                    Vengono 
                      inoltre eseguite diverse melodie esclusivamente strumentali 
                      specificamente associate al Natale, come la Pasturali e 
                      la Campaniata. Interessante in quest'ultimo caso è il principio 
                      imitativo su cui si fonda il brano, inteso a riprodurre 
                      il suono delle "campane di Roma" che annunciano la Natività 
                      (l'imitazione è sostanzialmente ottenuta attraverso formule 
                      fondate su note ribattutte). 
                    Come tutti gli zampognari 
                      siciliani anche quelli licatesi adattano al loro strumento 
                      diverse melodie di vasta diffusione popolare (Bersagliera, 
                      Bandiera rossa, Marina, Bombolo, ecc.) ed eseguono brani 
                      di accompagnamento al ballo (ballitti). La struttura di 
                      questi ultimi si basa su uno schema costante: breve preludio 
                      a ritmo libero (in questa fase il suonatore di cerchietto 
                      si limita a scuotere lo strumento facendo risuonare piattini 
                      e sonagli); giustapposizione di formule melodico-ritmiche 
                      in tempo vivace (tendente al 6/8 o al 12/8), sostenute dal 
                      cìmmulu, che possono essere variamente iterate e combinate 
                      secondo l'abilità del suonatore. La novena si conclude sempre 
                      con un ballittu: se è già buio, e il luogo lo permette, 
                      non è raro che presso le fiureddi siano allestiti dei falò, 
                      scavalcati di corsa dai bambini mentre ancora riecheggia 
                      la musica. Con l'acclamazione corale Viva Gesù Bambino! 
                      si conclude la parte musicale del rito. Le famiglie offrono 
                      allora cibi e bevande ai suonatori e a tutti i presenti, 
                      e se l'offerta è stata particolarmente generosa si suona 
                      ancora un ballittu o un altro brano a richiesta. 
                     L'aspetto 
                      più notevole della tradizione licatese risiede tuttavia 
                      nella Pasturali, una significativa permanenza degli antichi 
                      officia pastoram che si rappresenta dal 26 dicembre al 6 
                      gennaio secondo modalità di committenza analoghe a quelle 
                      della novena. Data la durata, non inferiore a quaranta minuti, 
                      e il costo, pressochè corrispondente a quello pattuito per 
                      un'intera novena, il numero delle Pasturali inscenate ogni 
                      anno raramente supera la dozzina. La rappresentazione richiede 
                      la presenza di sei personaggi: tre pastori chiamati Bardàssaru, 
                      Marsioni e Titu (che nella tradizione locale sono i nomi 
                      dei Re Magi), un Curàtulu (soprintendente di masseria) e 
                      due suonatori. I pastori indossano i tradizionali costumi 
                      in pelle di capra, e il Curàtuilu porta il mantello. Tutti 
                      e tre hanno il volto coperto da lunga barba e reggono in 
                      mano un bastone. Particolarmente interessante è la struttura 
                      drammatica che fonde recitazione, mimica e musica senza 
                      soluzione di continuità. 
                    Nelle parti recitate 
                      si alternano dialoghi "canonici" in italiano (certamente 
                      basati su un testo scritto di cui si è però persa la memoria) 
                      a battute improvvisate in dialetto strettissimo, a sfondo 
                      comico e talvolta osceno. 
                    La 
                      fase preparatoria è affidata a coloro che hanno prenotato 
                      (addumannata) la Pastarali: famiglie e gruppi di vicinato 
                      (quasi sempre per voto, prumisioni), circoli o associazioni 
                      private (per vivacizzare le attività festive con uno spettacolo 
                      sempre gradito). L'allestimento della "scena" consiste nella 
                      costruzione di una capanna con legni, cartoni e frasche 
                      sotto una fiuredda addobbata come per le novene di Natale 
                      ma con maggiore illuminazione. In prossimità dell'edicola 
                      viene preparato un falò che sarà acceso all'inizio della 
                      rappresentazione, di norma effettuata nelle ore serali. 
                    L'azione 
                      si apre con i pastori che si avvicinano lentamente, accompagnati 
                      dal suono di zampogna e cerchietto, simulando grande stupore 
                      per la forte luce che scorgono in lontananza. Giunti in 
                      prossimità della capanna la musica cessa, i pastori improvvisano 
                      qualche battuta scherzosa e poi si mettono a dormire. La 
                      musica riprende tra il russare e lo spulciarsi dei pastori, 
                      finché giunge il Curàtulu. Questi, che si mostra consapevole 
                      della miracolosa nascita con ampi gesti di gioia e meraviglia, 
                      tenta di svegliare il primo pastore per informarlo della 
                      "lieta novella":  
                    Bardàssaru, 
                      come fai a dormire che al centro della notte Dio ha fatto 
                      giorno. Guarda che brillare di luce ch'è nato sulla grotta 
                      di Betlemme e tu dormi buon pastore, svegliati! Buon pastore, 
                      guarda gli agnelli che pascolano, gli uccelli che cantano 
                      e tu dormi o buon pastore, svegliati! Non temere, buon pastore, 
                      sveglia ch'è nato il Re di tutti i re! 
                    Il 
                      tentativo fallisce e ricomincia la musica in sottofondo 
                      agli andirivieni del Curàtulu sempre più strabiliato dai 
                      sacri eventi. L'invito alla sveglia si ripete identico anche 
                      per gli altri due pastori, ma senza sortire effetti. 
                    Il 
                      Curàtulu si rivolge allora di nuovo al primo pastore, ripetendo 
                      con lievi varianti la precedente esortazione per cercare 
                      di convincerlo, con le buone e con le cattive (a colpi di 
                      bastone), che è nato il Redentore. Questa volta Bardàssaru 
                      si alza e scambia qualche animata battuta con il Curàtulu, 
                      fino a concludere: 
                    Buon 
                      pastore, tu dici che al centro della mezzanotte Dio ha fatto 
                      giorno, ancora gli occhi miei non sono convinti e questa 
                      non è ora di pascolare armenti! 
                    La 
                      reazione di Bardàssaru non scoraggia il Curàtulu che, sempre 
                      intercalando gesti di meraviglia al suono della zampogna, 
                      si rivolge prima a Marsioni e poi a Titu, i quali replicano 
                      analogamente al loro compagno. La musica riprende e il Curàtulu 
                      prova ancora a persuaderli: 
                    Titu, 
                      Bardàssaru e Marsioni, alzatevi o pastori! Venite anche 
                      voi ad adorare Gesù Bambino. Guardate che brillare sulla 
                      grotta di Betlemme, come fate a dormire o pastori, svegliatevi! 
                    A 
                      questo punto i pastori finalmente riconoscono l'avvento 
                      del Messia, escono dalla capanna e si inginocchiano verso 
                      l'immagine sacra esposta nell'edicola. Il Curàtulu allora 
                      declama un componimento in siciliano (cinque quartine endecasillabe 
                      a rima alternata) che rievoca i momenti dell'Annunciazione 
                      e della Natività. 
                    La 
                      Pasturali si conclude con l'offerta al Bambino di Canti 
                      e melodie di danza analoghe a quelle eseguite per le novene. 
                      Nel frattempo i più giovani distruggono la Capanna per alimentare 
                      il falò e saltarci attraverso dando prova di coraggio e 
                      vigore, mentre i commitenti avviano la distribuzione tra 
                      il pubblico di dolci, cibi e bevande. 
                    Una 
                      forma di Pastorale molto diversa rispetto a quella appena 
                      descritta si inscena il giorno dell'Epifania per le strade 
                      e nella piazza principale di Sant'Elisabetta, un piccolo 
                      centro rurale dello Agrigentino. I nuclei essenziali di 
                      questa azione drammatica sono costituiti dalla lunga performance 
                      itinerante del Nardu, figura esemplare del servo pigro e 
                      indolente, un po' scemo un po' saggio, e dalla rappresentazione 
                      in piazza di alcuni momenti della vita di una masseria: 
                      si prepara la ricotta che servirà a condire le "lasagne" 
                      (poi consumate collettivamente), si raccolgono l'erba e 
                      la legna, si trasporta l'acqua, si caccia il coniglio (che 
                      viene immediatamente scuoiato, arrostito e mangiato), si 
                      cattura il "ladro di arance" e infine si uccide il "lupo" 
                      che minaccia di attaccare un agnello. A queste sequenze 
                      si aggiunge un epilogo del tutto autonomo, costituito dall'arrivo 
                      a cavallo dei Magi (i tri Re) che scortano la Sacra Famiglia 
                      in un breve percorso dalla piazza alla chiesa. Nardu partecipa 
                      a questo corteo palesando grande stupore per la nascita 
                      miracolosa e assume quindi un ruolo assimilabile a quello 
                      dello "spaventato" del presepe (u meravigghiatu dà rutta). 
                       
                    La 
                      fase itinerante dell'azione è connotata da un variegato 
                      panorama musicale entro cui si sovrappongono i richiami 
                      che il Curàtulu e il Vurdunaru (mulattiere) rivolgono a 
                      Nardu, le sonate delle zampogne e della banda, i ritmi del 
                      tamburo e gli spari a salve dei Campieri a cavallo, oltre 
                      al festoso scampanio di un gregge, che pure sfila ostentando 
                      sonoramente l'identità della comunità pastorale.  
                    Nardu 
                      - con il volto imbiancato, la gobba e un bastone sopra la 
                      nuca su cui poggia i polsi (nella tipica posizione assunta 
                      dai pastori nel momento del riposo) - agisce in silenzio 
                      comunicando esclusivamente attraverso gesti e mimiche (spesso 
                      oscene). 
                    Le 
                      esortazioni a lui dirette vengono non a caso pronunciate 
                      con la tipica inflessione impiegata per chiamare gli animali 
                      (Oh! Nardu! Eoh! oh! oh! oh! / Unn'am'arrivari di stu passu 
                      Nardu! / Unn'am'arrivari, ah!). Travestimento e azioni del 
                      protagonista, orientati al rovesciamento della norma (disubbidisce, 
                      perde tempo, provoca le donne) e allo spreco (sputa il cibo 
                      e le bevande che i pastori gli offrono, lancia ricotta e 
                      fasci d'erba sul pubblico), rivelano chiaramente quale sia 
                      la funzione simbolica di questa maschera ctonia: instaurare 
                      il caos originario, in modo da rinnovare la fertilità naturale 
                      e umana (significativa a riguardo è anche la presenza nel 
                      corteo dei Cardunara, personaggi che recano a tracolla fasci 
                      di cardi selvatici, veri guardiani dell'ordine naturale 
                      che ostentano i frutti spontanei della terra). Di grande 
                      interesse è quindi la confluenza in questa rappresentazione 
                      di elementi eterogenei che la rendono un esempio unico in 
                      Sicilia. 
                    Un 
                      confronto anche sommario tra le due forme drammatiche esaminate 
                      offre l'opportunità per alcune considerazioni conclusive. 
                      In entrambe le circostanze va anzitutto osservata l'opposizione 
                      tra figure come Bardàssaru, Marsioni, Titu e Nardu, che 
                      presentano i tratti caratterizzanti del basso-corporeo (stupidità, 
                      aggressività, volgarità, oscenità), e figure connotate in 
                      senso positivo: sovrintendenti di masseria, mulattiere, 
                      campieri e pastori "laboriosi". Sia a Licata che a Santa 
                      Elisabetta è inoltre presente la transizione dal basso verso 
                      l'alto del primo tipo drammatico: i pastori licatesi riconoscono 
                      la Natività e la loro azione assume la forma dell'Offerta 
                      musicale al Bambino; il Nardu muta atteggiamento e si accoda 
                      compostamente al corteo della Sacra Famiglia. Nel caso di 
                      Licata si rileva però l'adesione al modello delle Pastorali 
                      di origine ecclesiastica, come dimostra il personaggio del 
                      Curàtulu che, illuminato dalla grazia divina, è il vero 
                      artefice del passaggio dei Pastori dalla condizione "selvaggia" 
                      all'armonia di un'esistenza riscattata dal peccato originale, 
                      mentre i Pastori, dal canto loro, non palesano eccessi paragonabili 
                      a quelli del Nardu. A Santa Elisabetta permangono invece 
                      evidenti i tratti di un arcaico rituale propiziatorio agro-pastorale 
                      connesso al solstizio invernale, il cui tentativo di riplasmazione 
                      entro la cornice della festa cattolica appare assai forzato. 
                        
                    Sergio Bonanzinga 
                    ( 
                      TORNA 
                      ALL'INDICE DEGLI ARTICOLI ) 
                     
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