IL TEATRO DEL MONDO 
                    Antonino Cusumano 
                     
                     Del 
                      Natale il presepe è la prima immagine, iconografia esemplare 
                      della tradizione, paesaggi e architettura di un luogo che 
                      appartiene all'infanzia di ciascuno ed è per questo parafrasi 
                      delle memorie familiari. 
                    Al 
                      di là del suo apparato di simboli religiosi e cristiani, 
                      il presepe è teatro antico e ingenuo, spazio di affettuosa 
                      composizione e di domestica rappresentazione del mondo, 
                      orizzonte di segni e di figure partecipato in qualche modo 
                      da tutti, anche dai non credenti, perché allegoria del paese, 
                      microcosmo di una realtà sognata più che vissuta, dove i 
                      conflitti si stemperano e vince l'armonia. 
                    Quanto 
                      viene messo in scena attorno al tema della Natività evoca, 
                      da un lato, l'irruzione del Divino nella storia e, dall'altro, 
                      la dimensione quotidiana del vivere all'interno di un'ideale 
                      comunità umana.  
                    Collocato 
                      tra le pareti di una stanza semibuia, quasi sospesa nel 
                      gioco misterioso delle luci intermittenti, ovvero custodito 
                      in piccole ed eleganti bacheche o sotto campane di vetro, 
                      il presepe, sia esso colto o popolare, esteso o miniaturizzato, 
                      è essenzialmente racconto, plastica narrazione di un evento 
                      centrale che si fonda sulla costruzione di un "recinto" 
                      o spazio sacro entro il quale il tempo declinato nella ciclicità 
                      delle sue sequenze si rinnova eguale e presente. Fulcro 
                      della rappresentazione sembra essere la grotta, ove convergono 
                      i raggi delle stelle di cartone, gli scoscesi e tortuosi 
                      sentieri del villaggio, i passi e gli sguardi dei pastori 
                      carichi di offerte. Ma, a guardar bene, l'ordine cosmogonico 
                      disegnato dal presepe è dato dalla fitta trama delle relazioni 
                      spaziali, dal tessuto connettivo degli elementi topografici, 
                      dalla tridimensionalità dell'impianto scenografico, dalla 
                      rete di reciprocità descritta tra architetture e fondali, 
                      tra percorsi e statuette. Il groviglio di umanità, che anima 
                      la vita di questo teatro del mondo reinventato tra 
                      le mura domestiche, si dispiega attraverso l'illustrazione 
                      dei vari mestieri e la presentazione in forma di processione 
                      dei numerosi doni che pur nella loro sostanziale povertà 
                      valgono ad arricchire l'ordito dei legami e dei vincoli 
                      di riconoscimento della comunità. 
                    Pur 
                      nello scomporre e ricomporre ogni anno la scenografia, variando 
                      o aggiungendo particolari, introducendo nuove figure o adoperando 
                      nuovi materiali, immutato resta tuttavia l'impianto complessivo 
                      della rappresentazione, l'idea della comunità, la sostanza 
                      narrativa del viaggio inteso come percorso simbolico verso 
                      la grotta ma anche come ricerca attraverso la memoria delle 
                      origini e dell'identità. Il paesaggio agropastorale del 
                      villaggio ricostruito si accompagna a scorci di un improbabile 
                      Oriente, frammenti di una Palestina immaginaria, con minareti 
                      in lontananza e sporadiche palme in mezzo al deserto di 
                      sabbia. Francesco Faeta ha osservato che "alcune volte, 
                      turrite mura di una Gerusalemme che sembra uscita da un 
                      fondale dell'opera dei pupi campeggiano sullo sfondo, in 
                      altri casi palazzi fortificati o loro ruderi si inscrivono 
                      nell'ambiente, altre volte ancora i resti di un tempio classico 
                      ospitano direttamente la Natività". Al di là della loro 
                      verosimiglianza, ciascuno dei segni costitutivi della scena 
                      presepiale è carico di evidenti funzioni simbolico-rituali: 
                      così il ponte che sormonta un breve ruscello scintillante 
                      di carta stagnola; così il piccolo lago con le acque sospese 
                      su cocci di vetro o di specchi; così le montagne di sughero, 
                      le fronde d'arancio, i candidi fiocchi di neve sfilacciati 
                      dall'ovatta e infine le stelle con al centro la cometa d'argento 
                      che brilla alta nel cielo blu di cartapesta. Nessuno di 
                      questi elementi paesagglstici trova riscontro in sicure 
                      fonti documentarie e tutti, pur ispirandosi con libertà 
                      ai testi della storia sacra, si richiamano ad una radicata 
                      tradizione orale e popolare, formatasi essenzialmente su 
                      una felice commistione di idealità artistiche e bisogni 
                      devozionali. 
                    Dalla 
                      letteratura dei miti alla costruzione tridimensionale del 
                      presepe i passaggi, le migrazioni e i percorsi di segni 
                      e di simboli non sono né lineari né unidirezionali. Come 
                      accade per tutti i fatti culturali, la genesi delle prime 
                      rappresentazioni plastiche della scena della Natività è 
                      riconducibile a vicende e fenomeni diversi, la cui influenza 
                      è stata reciproca e sincronica. Come ha rilevato Gennaro 
                      Borrelli, "Presepe ha significato di greppia che 
                      per l'occasione fu adoperata quale culla: la più antica 
                      chiesa che porta questo nome è quella di Santa Maria 
                      ad Praesepe, ora S.Maria Maggiore in Roma. Il luogo 
                      dove sin dal tempo di Papa Liborio (fondatore della basilica) 
                      si adoperava un simulacro simboleggiante il divino evento 
                      è ora ubicato nella cappella Sistina della chiesa stessa, 
                      e rappresenta un piccolo ambiente, a forma di cripta, ove 
                      sin dal 354, anno in cui fu istituita la festa della Natività, 
                      si celebravano messe nel giorno di Natale, davanti ad un 
                      simbolo della sacra mangiatoia, sostituito, secondo la tradizione, 
                      tra il 642 ed il 649, dalle vere reliquie della sacra culla 
                      di Betlemme". 
                    Se 
                      gli studiosi hanno accertato che gran parte dell'iconografia 
                      del Natale è mutuata dai Vangeli apocrifi non meno che da 
                      descrizioni e narrazioni antecedenti alla diffusione del 
                      cristianesimo, di provenienza dal mondo orientale e in particolare 
                      da quello siriaco, la tradizione presepiale è stata probabilmente 
                      modellata sulle forme e le strutture teatrali dei drammi 
                      sacri ma ancora più decisamente promossa e favorita dallo 
                      sviluppo che il tema della Natività ha conosciuto nelle 
                      arti plastiche e figurative. In questo senso, è ormai chiaramente 
                      riconosciuto il notevole influsso esercitato dal presepe 
                      napoletano su quello siciliano, considerati gli stretti 
                      rapporti sociali e culturali tra i due centri del Meridione 
                      e il ruolo politico ed economico preminente della città 
                      partenopea. 
                     Apparso 
                      come oggetto di culto soprattutto all'interno delle chiese 
                      e diffuso in Sicilia a partire dal secolo XV, il costume 
                      di rappresentare la nascita di Gesù con statuine tridimensionali 
                      mobili riprende moduli spaziali e schemi formali della cultura 
                      figurativa già espressa su questo soggetto attraverso i 
                      codici miniati, i mosaici, le immagini a stampa, le pitture 
                      su pareti e su vetro, e soprattutto i bassorilievi in marmo. 
                      Basterà ricordare i nomi del Laurana e dei Gagini, i primi 
                      veri giganti della scultura presepiale siciliana, per identificare 
                      i modelli espressivi più compiutamente rappresentativi e 
                      risalire alle origini dell'illustre tradizione artistica. 
                      Il passaggio dalla esecuzione delle figure in pietra a quelle 
                      in legno a tutto tondo può essere storicamente considerato 
                      l'atto di nascita del presepe vero e proprio, che si caratterizza 
                      subito per la teatralizzazione delle composizioni plastiche 
                      e la forte impronta naturalistica affidata alla modellazione 
                      dei personaggi. 
                    "Teatralità 
                      e naturalismo, ha scritto Antonino Buttitta, riflettono 
                      naturalmente un chiaro spostamento di interesse dall'evento 
                      della Natività in quanto tale alle composite scenografie 
                      e alle situazioni d'ambiente". Fra più antichi presepi siciliani 
                      è quello che si conserva nella chiesa di San Bartolomeo 
                      a Scicli, opera di fattura napoletana che si fa risalire 
                      al 1576 anche se ha subìto nel tempo reiterati interventi 
                      di restauro, con pesanti rimaneggiamenti e consistenti integrazioni. 
                    A dare impulso 
                      alla pratica di disporre i gruppi di statue, realizzati 
                      anche a grandezza naturale, secondo una precisa e articolata 
                      ambientazione scenografica contribuirono senza alcun dubbio 
                      i Gesuiti, impegnati a divulgare anche attraverso questo 
                      nuovo strumento di comunicazione visiva la potenza della 
                      Chiesa post-tridentina unitamente al prestigio del proprio 
                      ordine religioso. Presepi monumentali erano allestiti davanti 
                      all'altare o nei chiostri e restavano esposti durante tutto 
                      il periodo natalizio: rituali novene eseguite da pastori 
                      con le tradizionali "ciaramelle" accompagnavano le visite 
                      dei devoti.  
                      Già 
                      nella prima metà del XVII secolo è attestato l'impiego di 
                      figure mobili, scolpite in legno in piccola o in grande 
                      scala, all'interno di presepi montati nelle cappelle private 
                      dei nobili. Uscite dalle chiese ed entrate nelle case delle 
                      famiglie aristocratiche, le statuine crescono di numero 
                      e si arricchiscono sempre più di elementi decorativi che 
                      ne accentuano eleganza formale e vivacità realistica. Nell'assumere 
                      funzioni di arredo con ambizioni estetiche, i presepi che 
                      occupavano interi salotti erano destinati a diventare oggetti 
                      d'arte, motivo di vanto, di orgoglio e perfino di competizione. 
                      Quando si cominciarono ad usare materiali preziosi come 
                      l'oro, l'argento, la madreperla, l'avorio e il corallo, 
                      l'evoluzione del presepe in soprammobile in stile raggiunse 
                      il suo culmine. Chiusa dentro bacheche di vetro, la piccola 
                      composizione della Natività s'imponeva su antichi cassettoni 
                      o davanti a raffinate specchiere, rimanendo stabilmente 
                      esposta per essere a lungo ammirata. In epoca barocca, tra 
                      Seicento e Settecento, sicura perizia tecnica e accurata 
                      perfezione formale si coniugavano nella creazione di presepi 
                      artistici, a formato ridotto, di produzione prevalentemente 
                      trapanese. Mentre a Napoli si introducevano i manichini 
                      lignei rivestiti con le più ricche e sfarzose stoffe degli 
                      abiti della moda del tempo, in Sicilia la ricchezza e la 
                      ricercatezza nei gusti e nello stile erano date soprattutto 
                      dalla lavorazione a bulino delle pietre più pregiate, con 
                      le quali erano eseguite le piccole e splendide Sacre Famiglie, 
                      oggi in gran parte conservate presso il Museo Pepoli di 
                      Trapani. Nella stagione in cui le arti decorative conoscevano 
                      in tutta l'Isola uno straordinario e originale sviluppo, 
                      le maestranze trapanesi seppero interpretare con esiti di 
                      altissima qualità e creatività le esigenze di rappresentanza 
                      simbolica della ricca borghesia emergente locale. Argentieri 
                      e corallari diedero vita a un capitolo tutto nuovo e tutto 
                      siciliano della storia del presepe, attraverso la manifattura 
                      di piccoli gruppi scultorei raffiguranti la Natività inserita 
                      fra i ruderi di un edificio classico o nel folto di una 
                      rigogliosa vegetazione. 
                    La 
                      sapiente commistione cromatica dei diversi materiali preziosi: 
                      il bianco intenso dell'avorio, il rame dorato, il rosso 
                      vivo del corallo, i contrastanti riflessi delle lamine d'argento 
                      sbalzate e delle gemme e degli smalti applicati, ha contribuito 
                      a fare, di queste minute ed elaborate composizioni, singolari 
                      opere d'arte la cui fama ha percorso tutta l'Europa. Fra 
                      gli autori di questi presepi si ricorda il maestro Giuseppe 
                      Tipa che con i figli Andrea e Alberto fu titolare di una 
                      prestigiosa bottega attiva a Trapani almeno fino alla fine 
                      del XVIII secolo. 
                    Alla 
                      stessa città di Trapani e al nome di Giovanni Matera si 
                      legano le fortune di un'altra fondamentale pagina nella 
                      storia della cultura figurativa siciliana: l'arte della 
                      scultura modellata secondo le tecniche della "tela e colla". 
                      In legno di tiglio erano costruiti la testa e lo scheletro 
                      delle figure, su cui erano organicamente sovrapposte e morbidamente 
                      drappeggiate tele imbevute di colla e gesso a simulare i 
                      costumi dei personaggi. Matera fu insuperato caposcuola 
                      di queste particolari tecniche di scultura presepiale che 
                      troveranno in seguito applicazione nella realizzazione dei 
                      famosi gruppi dei Misteri della processione del Venerdì 
                      Santo. Le sue opere più significative si possono ammirare 
                      nel Museo Pitrè di Palermo e nel Museo Nazionale di Monaco 
                      di Baviera. Per il soggetto rappresentato e per la teatralità 
                      dispiegata nella forte carica gestuale e nell'audace torsione 
                      dei corpi, sono di straordinario interesse le figure che 
                      compongono le scene della Strage degli Innocenti. La brutale 
                      efferatezza dell'eccidio è riprodotta con sequenze plastiche 
                      ed espressionistiche che possiedono movimento e ritmo narrativo. 
                    Tecniche 
                      e stile adoperati dal Matera furono a lungo modelli di riferimento 
                      per i costruttori di pastori dei presepi siciliani, grazie 
                      anche all'economicità dei materiali d'uso che favori una 
                      larga diffusione popolare di questa tradizione artigianale. 
                      Ciò non impedì nella lavorazione la sperimentazione di collanti 
                      a base animale, di nuove misture di argilla, stucco e pastiglia 
                      nella manifattura di composizioni scenografiche.  
                    Un 
                      discorso a parte merita la produzione dei presepi in cera, 
                      particolarmente ricca nella regione iblea, che può vantare 
                      una storica e ancora fiorente apicoltura. La ceroplastica, 
                      attività praticata fin dal medioevo all'interno dei monasteri 
                      e dei conventi, diventò a partire dal secolo XVIII specializzazione 
                      dei cirari, che sfruttarono la versatilità e la duttilità 
                      della materia per eseguire ex voto, modellare santi e bambinelli 
                      e plasmare piccole Natività destinate ad una committenza 
                      non solo ecclesiastica. Dentro eleganti scaffarate 
                      le cere scolpite erano oggetto di culto ma anche di ammirazione 
                      artistica, per la varietà e la preziosità degli addobbi 
                      che spesso guarnivano i soggetti. Di notevole fattura sono 
                      le opere del siracusano Gaetano Zummo, tra i primi e il 
                      più celebre ceroplasta siciliano. 
                     Nel 
                      Victoria and Albert Museum di Londra si trovano suoi gruppi 
                      statuari di grande pregio. 
                    Attraverso 
                      documentate ricerche gli studiosi hanno accertato la paternità 
                      di non pochi presepi in cera. Sono, tra gli altri, noti 
                      i nomi di Anna Lo Fortino e di Rosalia Novelli di Palermo, 
                      di Giovanni Rosselli di Messina e di Ignazio Macca di Noto. 
                      Nel Museo Bellomo di Siracusa è possibile osservare parecchi 
                      esemplari della loro produzione ceroplastica, che ha attraversato 
                      tutto il Settecento fino a giungere ai primi decenni del 
                      secolo scorso. I temi della Sacra Famiglia, della Natività 
                      e dell'Adorazione dei Magi trovano negli effetti del bulino 
                      sulla docile cera un'accurata rappresentazione realistica 
                      animata da particolari espressivi e decorativi.  
                    Alle 
                      soglie dell'Ottocento il presepe, definitivamente uscito 
                      dagli ambienti meramente ecclesiastici e aristocratici, 
                      comincia ad assumere connotati e caratteri popolari, diventa 
                      oggetto domestico rituale, entra anche nelle case delle 
                      famiglie meno abbienti, sia in città che nelle campagne. 
                      La svolta si può ricondurre all'evoluzione delle tecniche 
                      di lavorazione delle figure e, più in generale, ai mutamenti 
                      economici e culturali che investono la società siciliana. 
                      Sono gli anni durante i quali prende forma quella straordinaria 
                      tessitura di esperienze artistico-figurative che ha caratterizzato 
                      la vita e la cultura delle classi popolari dell'Isola nel 
                      cuore dell'800. Pitture su vetro e su carro, tavolette votive 
                      e cartelli dei cantastorie e dell'opera dei pupi sono alcuni 
                      dei prodotti e dei generi della tradizione iconografica 
                      siciliana che hanno conosciuto in quel periodo una fortunata 
                      stagione creativa. Ebbe particolare sviluppo anche in quegli 
                      anni la ceramica popolare e con essa l'arte dei flgurinai, 
                      ovvero degli artigiani che dall'argilla modellata ricavavano 
                      le statuine da presepe. L'introduzione degli stampi di gesso 
                      nel ciclo di lavorazione fu poi determinante per abbassare 
                      i costi e incrementare la produzione in serie delle figurine 
                      in terracotta. Da questo fatto tecnico e da questo preciso 
                      momento può farsi cominciare la storia del presepe popolare 
                      con le sue alterne vicende che continuano fino ai nostri 
                      giorni. 
                    Se 
                      è vero che l'arte popolare pur muovendo da modelli culti 
                      non è di questi semplice o passiva ripetizione né imitazione 
                      più o meno fedele o sbiadita, la rappresentazione plastica 
                      della Natività a livello popolare, per le funzioni sociali 
                      radicalmente diverse a cui si richiama, si lascia riconoscere 
                      per determinati tratti distintivi, assunti in corrispondenza 
                      dei particolari significati e valori simbolici attribuiti 
                      alle opere. Così, le statuine d'argilla dipinte a forti 
                      tinte non sono più filologicamente riconducibili alla realtà 
                      storica dell'Evento rappresentato quanto piuttosto a quella 
                      metastorica del mito rievocato. Nella semplice forma di 
                      "pastori", i personaggi che partecipano al rito interpretano 
                      ruoli e vestono costumi che sono di un tempo diverso da 
                      quello narrato: sono contadini, artigiani, pellegrini, venditori, 
                      cacciatori e pescatori che hanno facce, fogge e posture 
                      appartenenti al mondo popolare e alla dimensione quotidiana 
                      delle comunità siciliane del secolo scorso. I possibili 
                      anacronismi, certe incongruenze geografiche e temporali, 
                      alcune vistose discrasie tecniche, la mescolanza di stili 
                      architettonici, sono motivati dal bisogno di attualizzare, 
                      dall'urgenza di avvicinare alla realtà umana e sociale del 
                      vissuto lo spazio sacro del presepe e i suoi abitanti. In 
                      questo orizzonte culturale più della stesssa Natività, illustrata 
                      dalle figure fisse e canoniche della Sacra Famiglia, sembra 
                      essere privilegiato lo scenario della vita materiale tradizionale, 
                      il mercato, le botteghe, i mestieri, il complesso sistema 
                      di relazioni tra i luoghi dell'abitare e quelli del lavorare. 
                     Antonino 
                      Buttitta ha osservato che "mentre nei presepi d'arte la 
                      ricerca dei tipi è suggerita vuoi da compiacimenti arcadici, 
                      vuoi da una volontà di realismo esasperato letterariamente 
                      motivato, nei presepi popolari molto più semplicemente si 
                      tratta della rappresentazione del mondo in cui l'artigiano 
                      organicamente appartiene. E' significativo che in un presepe 
                      del Museo Etnografico di Palermo, proveniente da Caltanissetta, 
                      è compreso uno zolfataio, figura altrove insolita, ma nota 
                      nell'area nissena dove un tempo l'estrazione dello zolfo 
                      costituiva la principale attività economica". 
                    Giuseppe 
                      Pitrè e Carmelina Naselli ci hanno consegnato veri e propri 
                      cataloghi delle tipologie dei personaggi e degli elementi 
                      del paesaggio rilevati, tra la fine del'800 e i primi decenni 
                      del nostro secolo, nei presepi apparecchiati di anno in 
                      anno nelle case dei siciliani. Nello spoglio di questi elenchi 
                      dettagliati spiccano la quantità e la varietà degli offerenti 
                      attraverso i quali si dispiega l'amplissimo repertorio delle 
                      offerte, una sorta di inventario di tutto quello che si 
                      può mangiare e desiderare, un'abbondanza di beni alimentari 
                      che sembra voler riscattare la precarietà esistenziale della 
                      tradizionale condizione contadina. Anche se nelle rappresentazioni 
                      siciliane non c'è quell'immagine pantagruelica del mondo 
                      che viene evocata nelle scene al mercato dei presepi napoletani, 
                      tuttavia resta visibile nella ricchezza dei poveri frutti 
                      della terra portati in dono dai pastori l'idea del paese 
                      sognato più che vissuto, immaginato più che realmente abitato. 
                      Nelle repliche degli stessi soggetti che variano per piccoli 
                      particolari si esprime la volontà narrativa delle composizioni, 
                      il gusto per il racconto popolare, la tendenza a scandire 
                      in sequenze il movimento delle azioni compiute dai personaggi. 
                      Così, modellando la posizione delle braccia atteggiate in 
                      modo tale da caratterizzare i tipi desiderati, l'artigiano 
                      può ottenere dallo stesso stampo statuine differenti per 
                      funzioni e ruoli: il pastore che prepara la ricotta, quello 
                      che la sistema nelle fiscelle, colui che si mette in cammino 
                      per donarla, ovvero la lavandaia che deterge il bucato, 
                      quella che strizza i panni, quella che li batte e li strofina 
                      contro la pietra del fiume. Si aggiunga che allo scopo di 
                      dare movimento e gioco prospettico all'ambientazione le 
                      figure sono solitamente foggiate a diversa grandezza, in 
                      corrispondenza della loro importanza e soprattutto in rapporto 
                      alla collocazione a cui sono destinate nella spazio della 
                      rappresentazione. 
                    Né 
                      si trascuri il fatto che, diversamente dal presepe d'arte 
                      dove le statuette sono fisse e statiche, in quello popolare 
                      i pastori devono, di volta in volta, adeguarsi agli spostamenti 
                      funzionali allo scorrere cronologico della narrazione, dal 
                      Natale all'Epifania, e sono perfino suscettibili di sostituzioni 
                      sulla stessa scena, agiti e manovrati, sul palcoscenico 
                      di questo piccolo teatro mobile volto a restituire dal vivo 
                      in successione i vari momenti del viaggio umano verso il 
                      mistero della grotta, come marionette chiamate a raccontare 
                      una storia, la più antica storia del mondo. Non è senza 
                      significato, per esempio, che l'artigiano costruisce almeno 
                      due tipi diversi di Re Magi: quelli a cavallo (di rado su 
                      cammelli), da porre in cammino in mezzo al deserto e quelli 
                      genuflessi in adorazione, da sistemare nel giorno dell'Epifania 
                      davanti alla mangiatoia. 
                     I 
                      gruppi e le singole figure del presepe popolare siciliano 
                      non sono sostanzialmente diversi per caratteri tipologici 
                      da quelli delle altre regioni italiane, ognuna delle quali 
                      ovviamente presenta specifiche e inconfondibili varianti 
                      relativamente alle tecniche di fabbricazione, ai repertori 
                      cromatici o agli aspetti stilistici. Tuttavia, sebbene la 
                      rappresentazione dei personaggi resti abbastanza uniforme 
                      all'iconografia canonica consolidata dalla tradizione storico-figurativa, 
                      nella manifattura popolare è più facile cogliere i tratti 
                      dell'identità regionale, se non addirittura locale, dei 
                      pastori, visibili in piccoli dettagli dell'abbigliamento 
                      o nei particolari degli oggetti e degli strumenti che recano 
                      in mano. Il Bambino Gesù è in genere modellato in cera, 
                      sdraiato con le braccia aperte. La Madonna è raffigurata 
                      sempre molto giovane, spesso in ginocchio a mani giunte, 
                      con il mantello azzurro sul capo e la veste rossa ampiamente 
                      drappeggiata. San Giuseppe è il vecchio avvolto in una lunga 
                      tunica gialla che si appoggia al bastone fiorito, bianco 
                      nei capelli e nella barba. 
                    I 
                      Re Magi, come i loro paggi e servitori, sono in costumi 
                      orientali, vestono alla turchesca con vistosi turbanti e 
                      calzoni alla zuava. Gaspare, che ha tra le mani l'oro, è 
                      il più anziano e si riconosce per la sua barba bianca. Melchiorre 
                      e il moro Baldassare recano rispettivamente l'incenso e 
                      la mirra. Tra i pastori offerenti, universale e popolare 
                      è la figura del "Buon pastore", che porta sul collo una 
                      pecora o un agnello. 
                    Nel 
                      presepe popolare siciliano si segnalano almeno quattro singolari 
                      soggetti: il "Padre Eterno", effigiato come un vecchio canuto, 
                      con le braccia aperte, il capo sormontato da un triangolo 
                      e una colomba ad ali spiegate sulla veste, simboli entrambi 
                      della Trinità; lo "spaventato", il giovane che esprime palese 
                      meraviglia di fronte all'Evento, generalmente rappresentato 
                      con le braccia protese sul viso; "Gennaietto", un vecchio 
                      coperto di cappuccio, che si scalda vicino al fuoco del 
                      braciere; e infine, "l'uomo che si toglie la spina dal piede", 
                      un personaggio colto in una posa di grande immediatezza 
                      naturalistica, ideato e foggiato per la prima volta dal 
                      trapanese Giovanni Matera e ripreso dai presepisti successivi. 
                      Dell'intensa attività di produzione delle statuine di terracotta 
                      a partire dall'800 gli studiosi hanno documentato le concrete 
                      vicende attraverso l'individuazione di scuole e botteghe, 
                      seguendo il filo delle influenze e delle mode del tempo 
                      e ricostruendo la trama di quel tessuto economico, sociale 
                      e culturale che ha promosso e favorito il consolidarsi in 
                      Sicilia di peculiari e originali linguaggi artistico-figurativi. 
                    Caltagirone 
                      occupa nella storia del presepe popolare un posto di primissimo 
                      piano. Qui l'arte della ceramica, che può vantare un'antichissima 
                      tradizione, ha conosciuto uno straordinario sviluppo raggiungendo 
                      esiti di estrema raffinatezza. Qui operarono, tra la fine 
                      del 700 e la prima metà dell'800, Giacomo Bongiovanni e 
                      Giuseppe Vaccaro, nipote quest'ultimo del primo, maestri 
                      entrambi nell'uso dell'argilla sovrapposta in forma di sottilissime 
                      strisce sul corpo già modellato delle statuine. 
                    Con 
                      questa nuova tecnica sono state realizzate non solo singole 
                      figure policrome ma interi gruppi familiari, scene campestri, 
                      animate liti tra comari, plastici bozzetti di attività domestiche 
                      quotidiane che, come ha scritto Antonino Uccello, "costituiscono 
                      in taluni casi, anche documento di usi, modi di vivere, 
                      comportamenti, utensili e attrezzi del mondo popolare siciliano". 
                      Ad attestare il prestigio e la popolarità raggiunti dalle 
                      opere dei presepisti calatini si legge in una Guida per 
                      la Sicilia del 1842, curata da Jeannette Power, che 
                      "nel suo territorio vi sono molte cave di finissima argilla 
                      che agl'industriosi cittadini serve di materia a formare 
                      statuette colorate esprimenti al vivo le fogge di vestire 
                      dei contadini di diverse regioni dell'isola. Per la loro 
                      naturalezza ed espressione sono ricercatissime dai forestieri". 
                    Capiscuola 
                      di una bottega di figurinai che restò attiva a Caltagirone 
                      fino a qualche anno fa, i Bongiovanni Vaccaro hanno lasciato 
                      numerosi pastori e gruppi di presepi di finissima foggiatura 
                      e di grande pregio. 
                    Alcuni 
                      di essi si trovano oggi nel Museo delle Arti e Tradizioni 
                      Popolari di Roma, acquistati nel 1907 dallo studioso Lamberto 
                      Loria. A Modica nella chiesa di S.Maria di Betlem si può 
                      visitare un presepe monumentale, commissionato nel 1882 
                      dai frati dell'omonima confraternita a Giuseppe Vaccaro 
                      Bongiovanni che vi lavorò, eseguendo i pastori, assieme 
                      al giovane Giacomo Azzolina e al frate Benedetto Papale, 
                      ai quali fu affidato rispettivamente il compito di modellare 
                      i santi, gli angeli e i magi e di curare l'ambientazione 
                      del paesaggio e le operazioni pratiche di allestimento. 
                    E' 
                      appena il caso di precisare che con la creazione degli stampi 
                      e la loro libera circolazione l'universo sociale e culturale 
                      dei figurinai si è, nel corso del secolo XIX, ampliato e 
                      frastagliato. Gli stessi artigiani, in molti casi, fabbricavano 
                      anche tegole e mattonelle, vasi e stoviglie, formelle per 
                      i dolci e fischietti antropomorfi per i bambini. L'eterogeneità 
                      dei manufatti denuncia la profonda trasformazione avvenuta 
                      nell'organizzazione del lavoro e del mercato ovvero nel 
                      sistema delle competenze professionali e delle committenze 
                      commerciali. 
                    A 
                      questi mutamenti strutturali si è accompagnata l'evoluzione 
                      dei presepi da composizioni artistiche di pezzi unici a 
                      opere artigianali di fattura seriale e di qualità diseguale. 
                      A fronte di una crescente domanda popolare, le botteghe 
                      si sono moltiplicate a Caltagirone e altrove, si è incrementata 
                      notevolmente la produzione delle statuette di terracotta, 
                      diventate mediamente più piccole di formato e vendute a 
                      prezzi concorrenziali. L'ampia disponibilità dei calchi 
                      che i ceramisti si tramandavano in famiglia di generazione 
                      in generazione ha, d'altra parte, contribuito a codificare 
                      i segni di riconoscimento delle botteghe più antiche, stabilizzando 
                      tipologie e linguaggi espressivi. Tant'è che da uno stesso 
                      stampo, con piccoli ritocchi, si potevano ricavare fischietti 
                      antropomorfi e figurine da presepe. 
                    Antonino 
                      Uccello ha notato che "il fischietto che rappresenta un 
                      contadino che cavalca un asino è perfettamente uguale a 
                      uno dei Re Magi, che a sua volta, con estrema facilità, 
                      si può trasformare in un Garibaldi a cavallo". 
                    La 
                      storia più recente del presepe siciliano ha conosciuto gli 
                      effetti devastanti della profonda crisi che ha investito, 
                      a partire dagli anni del secondo dopoguerra, la società 
                      contadina e la cultura folklorica, la progressiva massificazione 
                      dei consumi e dei gusti, il lento declino di quel rito domestico 
                      a cui fondamentalmente si lega la tradizione popolare della 
                      rappresentazione plastica della Natività. Alla generale 
                      decadenza di ogni forma di produzione dell'arte popolare 
                      in Sicilia si è accompagnata la chiusura di molte delle 
                      botteghe dei figurinai,la sostituzione delle statuette di 
                      terracotta con quelle in celluloide e in plastica, la standardizzazione 
                      dei modelli e il generale impoverimento dei repertori. Più 
                      gravi sono state le conseguenze sul piano culturale, dal 
                      momento che il collasso del circuito di trasmissione di 
                      oggetti e conoscenze ha provocato la destrutturazione del 
                      sistema delle maestranze e la dispersione di preziose e 
                      antiche collezioni, rischiando perfino di determinare la 
                      definitiva cancellazione delle abilità e dei saperi tradizionali 
                      connessi al mestiere.  
                    Con 
                      l'introduzione sul mercato dei materiali sintetici prodotti 
                      dall'industria, il presepe sembra aver perso gran parte 
                      del suo fascino originario, minacciato se non soppiantato 
                      dalla moda imperversante dell'Albero o come questo adottato 
                      con funzione di semplice addobbo di luci e di arredo da 
                      salotto. 
                    Nonostante 
                      ciò, la parabola storica di questo "piccolo teatro della 
                      memoria" non può ritenersi definitivamente conclusa. Nuove 
                      stagioni e nuove fortune possono dischiudersi sull'orizzonte 
                      del presepe, con il recente recupero e il rilancio già avviato 
                      di antiche e prestigiose botteghe, ma anche attraverso l'affermazione 
                      di moderni orientamenti stilistici e formali che in direzione 
                      della scultura d'autore tentano di battere nuove strade 
                      sperimentali. Tra gli artigiani più illustri oggi attivamente 
                      impegnati, tra tradizione e innovazione, a dare un futuro 
                      all'arte di foggiare statuine di terracotta vanno ricordati 
                      almeno i nomi di Mario Lucerna di Messina, Angela Tripi 
                      di Palermo, Mario Iudici, Enzo Forgia, Francesco Scarlatella 
                      e Enzo Venniro di Caltagirone. 
                    Con 
                      la semplicità di un tempo o con nuovo estro inventivo essi 
                      tornano a dare vita e forma agli umili e antichi pastori, 
                      estratti dall' argilla degli stampi come lo furono gli uomini 
                      nel gesto primordiale del mito della creazione. 
                    Se 
                      il presepe non è destinato ad essere confuso con le altre 
                      rutilanti e suggestive suppellettili del nostro Natale, 
                      se non è un'effimera cornice al nostro nevrotico desiderio 
                      di immagini coreografiche, è perché nel piccolo spazio di 
                      quella vita rappresentata c'è probabilmente un frammento 
                      della vita vissuta, e di questa quella costituisce, a livello 
                      delle strutture profonde, una forma di riscatto, una metafora 
                      della nostra identità. 
                    Nell'apologo 
                      di Edoardo De Filippo il presepe, piantato dal protagonista 
                      come una bandiera nel cuore di una casa lacerata da contrasti 
                      insanabili, sembra avere il valore di un accanimento anacronistico, 
                      di un irriducibile ammutinamento. 
                    Quella 
                      "cosa commovente", di cui parla Luca Cupiello, quel presepe 
                      così inutile e per ciò stesso così necessario, diventa strumento 
                      di resistenza ideologica e culturale, luogo simbolico entro 
                      il quale è possibile dare soluzione alle insopportabili 
                      contraddizioni del nostro tempo. 
                    Il 
                      presepe, dunque, come argine alla cancellazione della memoria, 
                      come segno di rifondazione della vita. Ecco perché "fare 
                      il presepe" ogni anno non è soltanto un rito, domestico 
                      e familiare. E'un pò come "rifare il mondo" o provare a 
                      fare, come scrive Vincenzo Consolo, "la nuda creazione di 
                      un ritaglio del mondo". 
                    Antonino Cusumano 
                    ( 
                      TORNA 
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